Beppe Marotta, amministratore delegato della Juventus, ha parlato della sua carriera da dirigente
L'ad bianconero -intervistato da Il sole 24 Ore– è partito dagli inizi di carriera: “Ho realizzato il sogno di un bambino che a sette anni, dopo scuola, scappava allo stadio dove si allenava il Varese, per spiare gli allenamenti, raccattare i palloni e respirare da vicino quell’emozione che chiamiamo calcio. Io allenatore? Solo una volta a Varese e ho capito che non era il mio destino. Io volevo intraprendere la carriera del dirigente. E la mia fortuna è stata quella di incrociare uno dei primi grandi mecenati sportivi, Giovanni Borghi. L'apprendistato fatto allora non termina mai. Perché ci si deve sempre mettere in discussione per colmare le proprie lacune. Senza quest’approccio non si va da nessuna parte“.
Nella sua lunga carriera, la soddisfazione maggiore e la delusione più grande sono arrivate in bianconero: “La vittoria più coinvolgente resta la conquista del primo titolo della Juventus a Trieste dove si è disputata la partita contro il Cagliari in campo neutro. Ho coronato un sogno. Il mio sogno professionale. Ma è stato ancora più emozionante perché quello scudetto è stato il primo della nuova dirigenza e di Antonio Conte come allenatore. Dopo il settimo posto della stagione precedente il nostro comune imperativo era riportare la Juve in auge. La finale persa a Cardiff contro il Real Madrid, lo scorso giugno, è stata la delusione più grande di questo periodo. Ma io tengo sempre a mente una frase di Nelson Mandela che dice “Io non perdo mai: o vinco o imparo”. E da quella esperienza abbiamo imparato alcune cose. Per cui per noi la sfida riparte. Siamo ancora più determinati“.
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Si passa dunque a parlare della Juventus: “La Juventus è un'azienda con oltre 500 dipendenti che aspira a consolidarsi come una delle più importanti e profittevoli multinazionali dello SportSystem. Penso perciò che ciascuno debba essere messo nella condizione di dare il meglio di sé e di contribuire al successo collettivo. La stessa filosofia deve permeare la compagine dei calciatori e lo staff tecnico, come i diversi settori dell’industria Juventus. E la stessa fiducia deve essere alla base del rapporto con la proprietà. Se resto? Certo, non mi vedo in un altro club. Piuttosto vorrei dare un contributo alla politica sportiva, mettere a disposizione la mia esperienza per provare a salvaguardare almeno nel calcio non di vertice quella valenza sociale ed etica che fa dello sport qualcosa di imprescindibile“.
In chiusura, due parole anche sul calcio in generale: “In 40 anni ho attraversato tutte le trasformazioni di questo settore, dal mecenatismo all’avvento delle tv, dall’invasione della finanza a questa nuova era in cui il trading dei calciatori ha definitivamente seppellito il romanticismo. Bandiere che incarnino lo spirito di una squadra e la identifichino non ce ne sono e non ce ne saranno più. Totti e Buffon saranno ricordati come gli ultimi esemplari del calcio classico. Il calcio d’élite sarà sempre più una forma di entertainment. I calciatori migliori saranno sempre più delle star dello show business. E vivranno di ingaggi temporanei, come gli attori del cinema, quasi senza più vincoli contrattuali, se non per quel dato spettacolo o per quella data manifestazione. Possiamo non desiderarlo come innamorati del calcio, ma l’economia mondiale spinge in questa direzione“.
? Pillola di Fanta
Anche grazie al suo mercato, dopo due settimi posti la Juventus è riuscita a tornare al top. In questi sette anni in bianconero, l'ad di Varese è riuscito ad alzare al cielo numerosi trofei, ai quali però ne manca solo uno, il più ricercato dalla Juventus negli ultimi anni. Chissà magari che prima della fine della sua carriera non riesca a raggiungere anche questo obiettivo. ESPERIENZA
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Fonte foto:www.imagephotoagency.it