Compie 50 anni il fuoriclasse transalpino ex Juventus e Real Madrid che ha reso grande la nazionale francese
La carriera di Zinedine Zidane è un concentrato di genio, catalizzato in quel modo cadenzato di pettinare e accarezzare il pallone con i piedi che lo ha reso unico, portandolo ad essere uno dei calciatori più determinanti a cavallo tra due secoli. E se è vero che la differenza tra genio e follia si misura con il successo, basta dare uno sguardo nemmeno troppo attento al suo palmares per capire da che parte della storia ci troviamo.
Zizou nasce da una famiglia di origini algerine, in un quartiere di Marsiglia dove la vita è tutt’altro che facile e scontata. Tirare calci ad un pallone per strada lo attira fin da bambino e forgia un carattere scontroso che spesso rivedremo anche nei grandi palcoscenici. Il talento è subito evidente e cristallino: una luce che illumina i primi gradini di una scalinata che lo porterà in cima al mondo.
Dal provino al Cannes dove metterà i primi passi da professionista, alla bocciatura del Marsiglia perché il presidente lo trova troppo lento, fino al Bordeaux dove conquista consensi e visibilità raggiungendo anche una finale di Coppa Uefa.
Poi, l’Italia. Moggi è il primo a credere in lui come calciatore di livello assoluto e lo porta a Torino. La Juve lo rende grande, imprendibile, vincente. La sua “ruleta” è il marchio di fabbrica. Quel modo di danzare sulla palla facendo fuori gli avversari che, più che cercare di fermarlo, restano a guardare tanta eleganza. Sul prato verde è letteralmente un principe, come il soprannome del suo idolo Enzo Francescoli il cui nome ha voluto dare anche a suo figlio. Grazie anche a Marcello Lippi, trasforma le sue qualità in costanza. Può letteralmente fare qualsiasi cosa voglia in un campo da calcio. Inizia l’azione, imposta, la rifinisce e talvolta la conclude.
Il pallone d’oro consegnatogli nel 1998 è solo la sublimazione di un percorso iniziato in maglia bianconera e terminato con il Mondiale dominato in lungo e in largo e vinto in casa. Prima Coppa del Mondo della storia della Francia, sulla quale prima degli altri c’è indelebile il suo autografo. Arrivano anche gli Europei del 2000 a consacrare una volta di più un dominio francese in cui spicca per leadership e carisma.
Gli manca solo la Champions League, con la Juve ha giocato due finali ma le ha perse. Quale scelta migliore del Real Madrid per conquistarla. I galacticos lo acquistano per 150 miliardi quando è all’apice del suo splendore. A fine anno, nell’uggiosa Glasgow l’ennesimo capolavoro di coordinazione e tecnica con cui liquida il Leverkusen, gli regala il trionfo europeo con il club.
Anche gli dei però a volte cadono e quel carattere forgiato tra le stradine di Marsiglia gli tende una trappola nella finale del Mondiale 2006. La testata a Materazzi con cui si conclude la carriera di Zinedine Zidane, è l’epilogo più amaro per lui. L’Italia solleverà la Coppa e al mondo intero rimarrà l’immagine del numero 10 in maglia bianca, a testa bassa, che scende le scale dell’Olimpyastadion di Berlino lasciandosi la Coppa del Mondo e il calcio giocato alle spalle.
Per chi ama il lieto fine però, la sua storia d’amore con il pallone, non può finire in quella serata di luglio. Zidane si siede sulla panchina del Real, ancora su un campo da calcio, dove è e sarà sempre il suo posto. Prima da assistente di Ancelotti, poi da allenatore del Castilla (la squadra B del Real Madrid), poi da primo allenatore dei blancos. Dal 2016 al 2018 porta il Real Madrid a vincere tre Champions League. Porta con se l’ecclettismo di Lippi e la capacità di gestione dello spogliatoio di Ancelotti, dimostrando ancora una volta di poter tramutare in successo il genio che ha dentro.
Oggi aspetta il suo turno di sedersi sulla panchina della Francia che per primo ha contribuito a rendere grande, con la solita calma. Per ora si limita a spegnere le sue 50 candeline.
Buon compleanno Zizou.