Quando si parla di Diego Armando Maradona è impossibile scindere l'uomo dal calciatore. I suoi aspetti controversi e discussi, tra problemi di tossicodipendenza da lui stesso ammessi, fino alla vita oltre ogni limite, ne fanno un campione per certi versi enigmatico e anche divisivo. Quello su cui non è ammessa discussione, però, è il suo talento puro, alieno, imperscrutabile e incommensurabile. Un dono celeste conferito ai suoi piedi dagli dei del pallone per la gioia di noi poveri mortali innamorati di questo gioco. Checché se ne dica, Maradona rimane l'icona del calcio in maniera transgenerazionale e trascendentale.
Durante l'estate del 1990 el Pibe de oro cammina letteralmente sull'acqua. Trent'anni ancora da compiere, il mondo del pallone prono ai suoi piedi. Campione del mondo in carica con la sua Argentina nel 1986, Maradona ha appena regalato al suo Napoli e alla sua Napoli il secondo scudetto della sua storia e si affaccia al campionato del mondo di Italia 1990 come un semidio in visita sui campi di calcio.
Napoli è pazza di Maradona; il fuoriclasse trascina i suoi devoti alla sua venerazione anche quando indossa una maglia diversa.
Quell'adorato figlio adottivo di Napoli
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La storia del folle e reciproco amore tra Napoli e il Maradona va ben al di là delle prodezze del 10 in campo. È una storia di riscatto che affonda le sue radici anche nella proverbiale rivalità tra nord e sud che, ne casi più stigmatizzabili, sfocia nella discriminazione territoriale. Figlio di migranti e cresciuto nella periferia povera di Buenos Aires, Diego Armando Maradona diviene presto il testimonial di quel popolo spesso disprezzato dalle frange estremiste di quelle che si fatica a chiamare “tifoserie“.
Quando el Pibe sbarca a Napoli, i cori offensivi e gli striscioni alla “Benvenuti in Italia” che attendono le trasferte degli azzurri sono all'ordine del giorno. Maradona, portando la sua squadra a primeggiare in campionato fino a conquistare i suoi due unici scudetti, regala a tutta la città l'orgoglio per poter combattere gli insopportabili e ridicoli scherni e luoghi comuni che settimanalmente fanno capolino tra le tribune.
Italia 1990: i fischi a Milano
Indossare una maglia diversa da quella del Napoli non cambia ciò che il 10 rappresenta. Con il campionato del mondo in Italia e l'Argentina di Maradona tra le favorite per la conquista del titolo, si apre una partita nella partita ogni qualvolta l'albiceleste scende in campo: il tifo sarà contro o a favore? Durante il match d'esordio il dubbio viene subito chiarito.
L'Argentina affronta il Camerun (nel girone anche Unione Sovietica e Romania) alla Scala del calcio, lo stadio San Siro in Milano. Dalla prima nota dell'inno nazionale argentino, una bordata di fischi si solleva dalle tribune quasi fino a coprire la musica. La nazionale di Maradona, tra l'altro, perde per 1-0 in maniera abbastanza sorprendente. Il fuoriclasse commenta ironico: “Almeno oggi abbiamo scoperto che i milanesi non sono razzisti: hanno sostenuto gli africani“.
Per la gioia del Pibe&co le altre due partite del girone si giocano al San Paolo di Napoli, dove l'atmosfera è decisamente diversa e il tifo è tutto per lui. L'Argentina batte l'Unione Sovietica per 2-0 e soffre 1-1 contro la Romania. Si qualifica come terza grazie alla formula che spedisce alla fase a eliminazione diretta le prime due di ciascun girone più le quattro migliori terze.
L'Argentina avanza
Superato non senza qualche patema il gironcino iniziale, l'Argentina si affaccia a un ottavo di finale colmo di storia, tradizione, rivalità. Per una volta quello che succede sugli spalti è meno importante di quello che succede in campo. Per un posto nei quarti, Maradona deve affrontare il Brasile del suo compagno nel Napoli Careca.
La partita del Delle Alpi è tensione allo stato puro. Le squadre si equivalgono, sebbene le occasioni migliori capitino alla Selecao che si stampa sui legni per ben due volte. Quando il match sembra avviarsi verso i supplementari, è proprio Maradona a salire in cattedra con un'azione splendida: salta mezzo Brasile, attira a sé tutta la difesa verdeoro e così facendo libera Caniggia tutto solo davanti a Taffarel. Per l'attaccante argentino è un gioco da ragazzi smarcare il portiere con una finta e depositare in rete. È il gol vittoria a 9′ dalla fine della partita.
Un'altra partita ricca di fascino e insidie attendeva l'Argentina ai quarti del Franchi di Firenze. L'ultima grande Jugoslavia, prima del disgregamento del paese: quella di Stojkovic, Prosinecki e Savicevic, per fare qualche nome. E infatti l'incontro si rivela equilibrato e privo di gol: nemmeno ai supplementari una delle due squadre riesce a prevalere. Si decide ai rigori. E nonostante Maradona fallisca il suo tiro dal dischetto, l'Argentina la spunta 3-2 grazie alle parate dell'estremo difensore Goycochea.
Ma il thriller non ha ancora raggiunto il suo apice. Perché alla semifinale di Italia 90, l'Argentina di Maradona affronta gli azzurri che ospitano il torneo. E quale teatro migliore del San Paolo di Napoli?
La Napoli a metà
Maradona sapeva che l'inno argentino sarebbe stato rispettato e non fischiato a Napoli. Sperava anche che il tifo sarebbe stato in qualche maniera diviso. “Chiedono ai napoletani di essere italiani per una sera, poi gli altri 364 giorni dell'anno li chiamano ‘terroni' – disse accendendo la sfida – io e i miei compagni sappiamo benissimo che sono italiani e per questo non possiamo chiedergli di tifare per noi. Vorremmo solo per i napoletani lo stesso rispetto che abbiamo noi per loro“.
L'appello ben architettato dal 10 sembra non fare troppa breccia. “Diego, Napoli ti ama ma l'Italia è la nostra patria“, lo accoglie uno striscione. Al suo ingresso in campo, tuttavia, parte un'ovazione in favore del Pibe. L'inno argentino risuona nel San Paolo in doveroso rispetto e quella che si respira anche durante la gara è un'atmosfera un po' tiepida.
L'Italia passa in vantaggio con Schillaci nel primo tempo, l'Argentina impatta con Caniggia nella ripresa. Ancora una volta il destino si decide ai tiri di rigore. Goycochea è ancora l'eroe argentino: para gli ultimi due rigori a Donadoni e Serena. In mezzo, Maradona realizza il quinto per l'Argentina. Albiceleste in finale, mentre svanisce il sogno azzurro di Italia90.
Di certo il tifo napoletano non fece guerra a Maradona e rispettò l'inno nazionale com'è giusto che sia. Quella dello stadio schierato dalla parte degli argentini, però, è più che altro una leggenda alla quale è facile credere senza approfondire.
La finale di Roma: tornano i fischi
L'Argentina ha ora un solo ostacolo sulla strada della conferma del titolo mondiale: la Germania dell'Ovest. La finale è in programma all'Olimpico di Roma, così la nazionale del Pibe si ritira nel centro sportivo di Trigoria. L'avvicinamento è scosso da alcuni episodi fuori dal campo. La bandiera Argentina che si erge vicino a quella italiana viene divelta dall'asta all'ingresso del centro sportivo di Trigoria, Il fratello del Pibe, Lalo, viene fermato senza documenti alla guida della Ferrari del numero 10. Maradona inveisce contro le forze dell'ordine, inasprendo un clima già ricco di tensione, che esplode nel giorno della finale.
È l'8 luglio del 1990, Argentina e Germania dell'Ovest stanno per fare il loro ingresso in campo. Quando si palesa la nazionale albiceleste si iniziano a percepire dei rumori che diventano fischi assordanti nel momento in cui parte l'inno nazionale. È questo il momento in cui le telecamere inquadrano un inconfondibile labiale di Maradona: “Hijos de p..a! Hijos de p..a!“. La traduzione è superflua.
Le premesse non erano delle migliori per l'Argentina. E nemmeno il campo sorride all'albiceleste. Partita decisa a pochi minuti dalla fine con un rigore di Brehme e la squadra di Maradona che termina in 9 uomini per le espulsioni di Monzon e Dezotti.
Per il Maradona sconfitto è praticamente l'inizio della fine. L'anno successivo risulterà positivo alla cocaina e darà l'addio al Napoli e alla Serie A. Tuttavia per Napoli rimane un totem inamovibile, una storia d'amore ancora viva e il suo nome, dopo la sua morte, continua a riecheggiare per i vicoli del capoluogo campano. Ogni volta che si gioca a Napoli, ora, non si gioca più nel San Paolo che lo ha tanto amato. Si gioca allo stadio “Diego Armando Maradona“.