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Che fine ha fatto?

Che fine ha fatto Alì Adnan: il Roberto Carlos del Medio Oriente, primo iracheno nella storia della Serie A

Che fine ha fatto Alì Adnan: il Roberto Carlos del Medio Oriente, primo iracheno nella storia della Serie A
Iconsport / SUSA

“Che fine ha fatto?”. Ce lo chiediamo di un amico che non si fa più sentire dopo che ha copiato i compiti di latino per tutto il liceo, del pantalone dell'abito della laurea che tua madre ha messo in un posto sicuro e che probabilmente verrà ritrovato dai tuoi nipoti, di quella ricevuta di pagamento della multa che è “sempre stata lì” ma ora che ci è arrivata la mora per non averla pagata sembra essere stata ingoiata dall'etere. Ce lo chiediamo anche per quei calciatori che sembrano destinati a prendere a pallate tutti per un'era calcistica ma che dopo pochi attimi di gloria si dissolvono come neve al sole.

Che fine ha fatto è proprio il nome che abbiamo voluto dare a questa rubrica. Per ricordare insieme quei talenti che hanno abbacinato tutti agli esordi e che ora sono dispersi in qualche campo di periferia o come direbbe qualcuno: “hanno appeso le scarpe a qualche tipo di muro e adesso ridono dentro al bar“.

Ben ritrovati amici nostalgici di questa rubrica quindicinale, una rassegna in cui andiamo a ripescare calciatori tra le più disparate personalità che hanno lasciato un segno – più o meno importante – nei nostri ricordi. Abbiamo percorso le carriere di Mastour, talento incredibile gettato al vento, passando per la storia di rivalsa di Macheda e arrivando alle invenzioni di Foquinha. Uno sguardo lo abbiamo dato anche al reality “Campioni il Sogno” a ai suoi protagonisti, abbiamo ricordato Maicosuel, rimpianto dell'Udinese così come abbiamo ripescato le gesta di Francesco Grandolfo vera e propria meteora con la maglia del Bari, prima di arrivare alle aspettative non rispettate di Elia ed Iturbe, per finire poi agli ultimi capitoli in cui abbiamo rimpianto il talento di Alexandre Pato e viaggiato assieme a Samuele Longo. Nell'appuntamento odierno vogliamo andare a conoscere meglio Alì Adnan, terzino iracheno transitato nel nostro campionato con le maglie di Udinese e Atalanta, con quell'aria di mistero che solo chi proviene da quelle parti si porta dietro.

Se tra i tuoi soprannomi sono citati due fenomeni assoluti di quest'epoca calcistica, qualcosa di speciale devi averlo. Per questo motivo, Bale della Mesopotamia o Roberto Carlos del Medio Oriente non sono appellativi che possono lasciare indifferenti. Va detto però, che spesso per calciatori provenienti da luoghi esotici come può essere considerato il continente asiatico quando si parla di calcio, i cronisti locali tendono un po' ad esagerare. Per conoscere meglio la storia e le caratteristiche tecniche di Alì Adnan, vogliamo partire proprio dai due fuoriclasse che gli vengono associati.

È il 3 luglio 2015 e ad Udine c'è la conferenza stampa del nuovo gioiello pescato dalla famiglia Pozzo. Tra le domande di routine di una prima volta davanti ai microfoni, non può mancare quella sulla fonte di ispirazione, un calciatore del presente o del passato nel quale ci si rivede. Alì Adnan è sicuro di quello che sta per dire, non si nasconde dietro frasi di circostanza e spara: Roberto Carlos. Per questo i giornali italiani iniziano a scrivere del Roberto Carlos venuto dall'Iraq. Ma con il fuoriclasse brasiliano, Adnan condivide ben poco se non un gol segnato su punizione che ricorda molto quello famosissimo delle “tre dita” dell'ex Real Madrid contro la Francia. Al contrario di Roberto Carlos tende più a imporsi che a proporsi, gli piace isolarsi e sfidare l'avversario nell'uno contro uno. Fisicamente, è più alto di 20 centimetri e aspetto fondamentale non è preciso e puntuale nel dialogare con i compagni.

Veniamo al paragone con Bale, coniato da un giornale turco: a livello fisico lo ricorda un po', così come gli assomiglia nella progressione. Nel modo di attirare dalla sua parte l'azione per poi farla concludere dall'altra parte, c'è molto del gallese. Di certo non è così decisivo in zona gol, ma ha più propensione a difendere e a sacrificarsi nella fase di non possesso. Il suo ruolo perfetto potrebbe essere laterale di centrocampo in un 4-4-2 o esterno a tutta fascia in un 3-5-2.

Riavvolgiamo un attimo il nastro, fino alla sua infanzia. Cresce nel pieno dell'invasione americana in una famiglia di 8 figli. Una famiglia abbastanza conosciuta calcisticamente visto che suo zio è uno dei goleador più famosi nella storia del calcio iracheno Ali Kadhim, secondo nella classifica all time, con 35 reti con la maglia della Nazionale. Nel 2005, quando la coalizione guidata dagli Stati Uniti aveva già invaso l’Iraq da due anni nell’operazione Enduring freedom, Ali deve ancora compiere 12 anni. Ricostruendo le tappe del suo percorso calcistico si può pensare, che in quel 31 agosto del 2005 Ali fosse nel suo quartiere,  dove sorge lo stadio nazionale al Shaab e di fronte al quale c’è la scuola calcio in cui ha mosso i primi passi: l’Accademia, di Ammo Baba, all’anagrafe Emmanuel Baba Dawud, una leggenda del calcio iracheno.

Grazie al suo talento e alla sua famiglia che gli regala un percorso privilegiato, nel 2010 a 17 anni va a giocare nel Baghdad, la squadra della capitale. Si capisce immediatamente che, rispetto agli altri calciatori del campionato iracheno, gioca ad un altro sport per tecnica, velocità e fisicità messa sul terreno di gioco. La rampa di lancio definitiva della sua carriera è il Mondiale under 20 del 2013, dove con il suo Iraq arriva fino alle semifinali. Viene inserito tra i migliori 10 calciatori della competizione e una volta trasferitosi al Çaykur Rizespor nel campionato turco, l'anno successivo viene valutato dal Daily Mail come uno dei venti talenti più interessanti d'Europa.

Le due stagioni in Turchia, attirano le lenti dei sapienti osservatori dell'Udinese, che come spesso succede, hanno grandissimo occhio per i giovani talenti. Arriva in Italia per giocare in Friuli, con mister Colantuono che gli affida la fascia sinistra del suo 3-5-2: è il primo iracheno della storia della Serie A. Fisico e qualità atletiche lo aiutano molto nella fase di inserimento, anche se uno dei suoi punti deboli rimane l'imprecisione nei passaggi. La sua avventura in bianconero dura 63 partite in cui riuscirà a segnare solo un gol. Dopo l'Udinese va in prestito all'Atalanta, dove però non lega con mister Gasperini e questo lo porta ad accettare il trasferimento in MLS allontanandosi dall'epicentro del calcio che conta. Due anni più tardi torna in Europa, in Danimarca con la maglia del Vejle e attualmente è tesserato con i russi del Rubin Kazan.

È doveroso mettere l'accento su un particolare di questa storia. Si narra che Adnan si fosse arruolato con l'esercito della sua nazione nella guerra condotta contro l'Isis. Nella conferenza di presentazione all'Udinese smentisce il suo aver fatto parte dell'esercito, affermando di esser stato un paio d'ore con le truppe giocando anche a calcio. Leggendo qualche sua dichiarazione, possiamo immaginare quanto gli sia costato il prendere le distanze da questa situazione. Il non far trapelare l'amore per il suo paese così da non farsi giudicare come il soldato e regalare all'Italia solo il calciatore. Questo è evidente in un un'intervista più recente, risalente al periodo passato a Vancouver. “In realtà per molto tempo ho cercato di aiutare il mio paese. Quando l'ISIS stava arrivando lì, ma anche ora che se n'è andato abbiamo di nuovo problemi. Sto cercando di aiutare sempre il mio Paese. Ci sono stato sei giorni, in realtà volevo anche solo tornare a casa mia, ma poi uscivo per  dare ai miei connazionali da mangiare”. 

Alì Adan, non è diventato nè Roberto Carlos, nè Bale ma ha regalato al suo paese la miglior pubblicità che qualcuno potesse fare. “La gente guarda l'Iraq dal di fuori e immagina il mio paese solo da quello che si vede in TV. E dalle immagini che arrivano è normale che venga da pensare ‘fa***lo a questo paese di m***a'. Ma quando sei nato lì e ci torni, vedi le persone, quanto amore c'è, quanto ognuno cerchi di aiutare l'altro”. Lavoro di squadra, dunque. Come nel calcio…”

 


Gianni De Simon

30 anni, nato e (soprav)vissuto a Bari, ingegnere civile ma solo per sbaglio. Appassionato di qualsiasi sport o forma di competizione esistente, calcio e fantacalcio in primis. Se c'è una palla che rotola c'è sempre un bimbo che le corre dietro.

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