“Che fine ha fatto?”. Ce lo chiediamo di un amico che non si fa più sentire dopo che ha copiato i compiti di latino per tutto il liceo, del pantalone dell'abito della laurea che tua madre ha messo in un posto sicuro e che probabilmente verrà ritrovato dai tuoi nipoti, di quella ricevuta di pagamento della multa che è “sempre stata lì” ma ora che ci è arrivata la mora per non averla pagata sembra essere stata ingoiata dall'etere. Ce lo chiediamo anche per quei calciatori che sembrano destinati a prendere a pallate tutti per un'era calcistica ma che dopo pochi attimi di gloria si dissolvono come neve al sole.
Ben ritrovati amici nostalgici di questa rubrica quindicinale, una rassegna in cui andiamo a ripescare calciatori tra le più disparate personalità che hanno lasciato un segno – più o meno importante – nei nostri ricordi. Abbiamo percorso le carriere di Mastour, talento incredibile gettato al vento, passando per la storia di rivalsa di Macheda e arrivando alle invenzioni di Foquinha. Uno sguardo lo abbiamo dato anche al reality “Campioni il Sogno” e ai suoi protagonisti, abbiamo ricordato Maicosuel, rimpianto dell'Udinese così come abbiamo ripescato le gesta di Francesco Grandolfo vera e propria meteora con la maglia del Bari, prima di arrivare alle aspettative non rispettate di Elia ed Iturbe. Abbiamo rimpianto il talento di Alexandre Pato, viaggiato assieme al girovago Samuele Longo , scoperto qualcosa in più sul primo iracheno della storia della Serie A, Alì Adnan.
Altri appuntamenti sono stati con il mancino magico di Diamanti e con i guantoni di Simone Scuffet che avrebbe dovuto essere il portiere della Nazionale per diversi anni ma si è perso prima di arrivarci. L'ultima storia è stata tutta stravaganza e rock & roll, percorrendo la carriera di Pablo Daniel Osvaldo. Così come accaduto nell'ultimo appuntamento con El Kaddouri, oggi andiamo a proporvi la storia di un ragazzo che di certo non ha lasciato un segno tangibile in Serie A, stiamo parlando di Ricky Alvarez.
Ramon Madoni, è un allenatore di calcio specializzato nelle squadre giovanili. Dai suoi insegnamenti al Boca Juniors sono cresciuti ed esplosi calciatori del calibro di Cambiasso, Tevez e Riquelme. Proprio nell'aura di quest'ultimo – che ha dichiarato essere il suo idolo – agli inizi degli anni 2000, sta muovendo i primi passi Ricky Alvarez, un ragazzino di dodici anni che sembra avere un futuro radioso davanti a sé. In effetti i colpi non gli mancano e sotto l'ala protettrice di Madoni, il ragazzo cresce a vista d'occhio. Ad aprire il cerchio della sua carriera da professionista, ci pensa il Velez che gli fa fare una stagione con i pari età prima di promuoverlo in prima squadra nel 2007. In Argentina iniziano a chiamarlo Ricky Maravilla per le meraviglie appunto che riesce a regalare in campo, come un cantante argentino molto in voga in quel periodo, un soprannome che a dire la verità non gli piace neanche troppo. Guardandolo giocare ricorda molto il fisico e le movenze di Kakà, in un mix di tecnica e potenza.
Per un talento di questo tipo, si sa che la carriera in Sud America non può durare a lungo. Il calcio che conta a livello di club si gioca in Europa e nel 2011 alla sua porta bussa l'Inter fresca campione d'Europa con Josè Mourinho. Il portoghese è andato via ma i campioni di tutto, soprattutto gli argentini, sono pronti ad accoglierlo nello spogliatoio. Alvarez si integra subito a livello umano, ma una squadra in ricostruzione dopo le vittorie dell'anno precedente non è il massimo per chi come lui non è ancora un calciatore fatto e finito e vive di alti e bassi. Un'altalena che dipende anche da un fisico troppo fragile, che inizia già in giovane età a compromettere la sua continuità. Con l'Inter giocherà tre stagioni, per un totale di 90 partite. Il 2014 con Mazzarri in panchina è il suo anno migliore in nerazzurro, dove sfodera prestazioni e giocate che gli fanno guadagnare il Mondiale in Brasile con la sua Nazionale. Con l'Albiceleste sfiora anche la vittoria, arrendendosi alla Germania solo in finale. Nella rassegna iridata, si toglie anche la soddisfazione e conserva l'emozione di aver sostituito Messi dopo che il numero 10 aveva regolato la Nigeria con una doppietta.
Con l'arrivo di Roberto Mancini in panchina, l'Inter gli annuncia che non punterà su di lui. I nerazzurri lo girano al Sunderland ma complice un campionato troppo fisico e altri infortuni, Alvarez è praticamente una meteora per la Premier League. A fine stagione si apre anche un contenzioso tra il Sunderland e la FIFA. Nel contratto di prestito con il quale l'Inter aveva ceduto il giocatore, era presente una clausola che obbligava i biancorossi al riscatto in caso di salvezza. Nonostante, l'obiettivo raggiunto il club si rifiuta di pagare la clausola per gravi motivi fisici. L'Inter segnala l'operazione alle autorità che dopo aver vagliato il caso costringono il Sunderland a pagare i dieci milioni pattuiti alla stipula del contratto. Per questo motivo Alvarez risulta essere ancora un giocatore del Sunderland anche nell'annata successiva pur essendo di fatto andato via dall'Inghilterra. Dopo una lunga disputa legale, il TAS obbliga il club a riconoscere oltre quattro milioni e mezzo di sterline al calciatore per la risoluzione non consensuale del contratto.
Ritornerà in Serie A due anni dopo averla lasciata, nel 2016 con la maglia della Sampdoria, pronto a ripartire e a riscattarsi ma ad ormai 28 anni il tempo per esplodere definitivamente è praticamente nullo. Dopo altre due stagioni con zero continuità, in cui come è sempre stato nella sua carriera fa vedere di avere dei lampi da giocatore superiore, decide di tornare in Argentina. A credere in lui è l'Atlas ma a pochi mesi dall'inizio della stagione si rompe il legamento crociato che gli fa perdere l'intera stagione. Nella stagione 2020/2021 si chiude il cerchio della sua carriera, con il ritorno in maglia Velez. In un intervista a fine carriera dichiarerà questo sui biancocelesti: “Il Velez Mi ha permesso di realizzare i miei sogni. Mi ha preso quando avevo 14-15 anni. Mi ha fatto crescere. Mi ha permesso di farmi un nome nel calcio. È stata la squadra che mi ha permesso di smettere giocando fino alla fine. Tornando al Velez ho chiuso il cerchio. È stata la squadra più importante della mia vita”.
L'inizio della carriera da calciatore di Ricky Alvarez, lasciava intravedere un futuro pieno di meraviglie così come gli avevano pronosticato i suoi tifosi dandogli quel soprannome. La storia ci ha consegnato un ragazzo troppo fragile fisicamente per fare la differenza nel calcio che conta. Dopo il suo ritiro prematuro, a soli 33 anni ci è rimasta qualcuna delle sue giocate e la sua serenità – come dichiara lui stesso – nell'aver concluso dove più lo hanno amato.