“Che fine ha fatto?”. Ce lo chiediamo di un amico che non si fa più sentire dopo che ha copiato i compiti di latino per tutto il liceo, del pantalone dell'abito della laurea che tua madre ha messo in un posto sicuro e che probabilmente verrà ritrovato dai tuoi nipoti, di quella ricevuta di pagamento della multa che è “sempre stata lì” ma ora che ci è arrivata la mora per non averla pagata sembra essere stata ingoiata dall'etere. Ce lo chiediamo anche per quei calciatori che sembrano destinati a prendere a pallate tutti per un'era calcistica ma che dopo pochi attimi di gloria si dissolvono come neve al sole.
Ben ritrovati amici nostalgici di questa rubrica quindicinale, una rassegna in cui andiamo a ripescare calciatori tra le più disparate personalità che hanno lasciato un segno – più o meno importante – nei nostri ricordi. Abbiamo percorso le carriere di Mastour, talento incredibile gettato al vento, passando per la storia di rivalsa di Macheda e arrivando alle invenzioni di Foquinha. Uno sguardo lo abbiamo dato anche al reality “Campioni il Sogno” e ai suoi protagonisti, abbiamo ricordato Maicosuel, rimpianto dell'Udinese così come abbiamo ripescato le gesta di Francesco Grandolfo vera e propria meteora con la maglia del Bari, prima di arrivare alle aspettative non rispettate di Elia ed Iturbe. Abbiamo rimpianto il talento di Alexandre Pato, viaggiato assieme al girovago Samuele Longo , scoperto qualcosa in più sul primo iracheno della storia della Serie A, Alì Adnan.
Altri appuntamenti sono stati con il mancino magico di Diamanti e con i guantoni di Simone Scuffet che avrebbe dovuto essere il portiere della Nazionale per diversi anni ma si è perso prima di arrivarci. L'ultima storia è stata tutta stravaganza e rock & roll, percorrendo la carriera di Pablo Daniel Osvaldo. Con il poker delle ultime volte con El Kaddouri, Ricky Alvarez , Ezequiel Schelotto e Yoan Gourcuff ci siamo ritrovati davanti a giocatori conosciuti ma che non hanno mai lasciato il segno nella loro carriera. Nell'appuntamento odierno parleremo di un calciatore ancora in attività, che è passato dall'Italia ed ha tutte le caratteristiche per essere considerato un talento mai esploso: Panagiotis Tachtsidis.
“Prendimi questo ragazzo, te lo trasformo in un campione”. Chi parla è Zednek Zeman, chi riceve il messaggio è uno dei direttori sportivi più influenti nella storia recente della Serie A: Walter Sabatini. Contestualizziamo quanto appena raccontato: è il 2012 e l'allenatore boemo dal passaporto italiano, si è appena riseduto sulla panchina della Roma. I giallorossi cercano di rievocare quelle stagioni dal 1997 al 1999, in cui proprio Zeman aveva gettato le basi per lo Scudetto poi vinto con Capello. Il mister è sicuro, è Panagiotis Tachtsidis la prima pietra della sua nuova Roma. Prima di scoprire come è andata questa scommessa, come spesso capita in questa rubrica facciamo un passo indietro agli albori della carriera.
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Tachtsidis è un centrocampista difensivo a cui piace molto avere la palla tra i piedi e dettare i tempi dell'azione. Inizia a muovere i primi passi su un campo da calcio con l'AEK Atene, società in cui milita già dalle giovanili e che lo fa esordire in prima squadra nel 2007 quando ha sedici anni. Il suo tempo nel campionato greco però è segnato, un talento come quello che ha nel piede nella penisola ellenica può durare al massimo fino al compimento della maggiore età. Infatti quando ha da poco compiuto diciotto anni, bussa alla sua porta il Genoa, da sempre molto attento allo scouting sui giovani in giro per l'Europa. I grifoni rossoblu lo portano in Italia e lo girano subito al Cesena e poi al Grosseto a farsi le ossa. Il salto di qualità avviene dopo un anno dal suo arrivo in Italia, quando è il Verona a puntare su di lui. All'inizio arriva come un buon rincalzo, ma finisce per conquistare il posto da titolare e giocare tutte le partite in cui è a disposizione.
Dopo questa annata molto positiva in Serie B, torniamo alla Roma e a Zeman. Sabatini lo preleva proprio dal Genoa a cui ne strappa la comproprietà. Il greco arriva a Trigoria con le stimmate del predestinato e ha subito la possibilità di mettersi in mostra. L'allenatore – come già detto – crede molto in lui, tanto che lo preferisce talvolta a De Rossi e talvolta a Pjanic, non proprio gli ultimi arrivati in quella zona del campo. Questo dualismo con i due veterani, gli porta qualche antipatia da parte dei tifosi che a volte non vedono l'ora di coglierlo in fallo per fischiarlo e invocare l'ingresso dei loro beniamini. Un trattamento che Panagiotis subisce ma che riesce a superare con la fiducia dimostratagli dall'allenatore.
A metà stagione però i risultati non arrivano, la Roma è ottava in classifica, la società esonera Zeman e il nuovo mister Andreazzoli non ha la stessa stima di lui preferendogli la coppia De Rossi-Pjanic così da far contenti anche i tifosi. Finisce in panchina per il resto della stagione e a Sabatini rimane in mano una scommessa persa. Si può dire, senza paura di essere smentiti che il treno che avrebbe svoltato la carriera di Tachtsidis era già andato via e che il centrocampista era rimasto a piedi.
Come spesso succede in questi casi – lo abbiamo visto tante volte in questa rubrica – il talento non è supportato dalla voglia di rivalsa e di rimettersi in gioco. Per molti calciatori l'ambizione è un concetto scomodo, dal quale guardarsi bene per evitare di restare delusi. Ad alcuni, basta restare nel giro, guadagnare bene ma senza essere ricordati dai tifosi o celebrati dai media per aver fatto la differenza in quello che è il loro lavoro e la loro passione. Per questo, citare le dodici squadre che si sono scambiate il cartellino del ragazzo greco dal talento cristallino, non fa alcuna differenza. L'unica società che lo ha tenuto per più di una stagione è stata il Lecce tra il 2019-2021, poi la decisione di trovare fortuna in Arabia da dove è tornato per vestire la maglia del Cluj nel campionato rumeno.
A trentadue anni, Tachtsidis continua la sua carriera di calciatore girovagando per i campionati europei e non solo. Quello che rimane è la consapevolezza che se un allenatore come Zeman – noto per la sua conoscenza e bravura con i giovani – aveva visto in lui del potenziale, è davvero probabile che questo ci fosse. Probabilmente però non è capitato nei piedi giusti.